La rivoluzione non la fa il web. La fanno le persone, ci ricorda Jillian C. York, perché il web non è garanzia di partecipazione e azione: «I also think it’s a bit irresponsible of Western analysts to start pontificating on the relevance of social media to the Tunisian uprising without talking to Tunisians». Come twitta Alaa Abd El Fattah: «hey frigging american analysts how about we let tunisians, who actually lived what happened decide how relevant twitter and wikileaks where?». Eppure non possiamo negare che «non c’è tentativo di rivoluzione che non sia stato accompagnato da un significativo tasso di conversazione sulla rete e nello specifico su siti di social network come Facebook e Twitter». Sarà per questo che il governo egiziano nella notte tra il 27 e il 28 gennaio ha chiuso l’accesso a tutta Internet e sconnesso la telefonia cellulare, dopo aver oscurato e censurato martedì Twitter, e giovedì YouTube e Facebook, nel tentativo di rendere invisibile quel dissenso che al mondo stava diventando evidente e per evitare che la Rete potesse essere un modo significativo di auto-organizzazione.
La rivoluzione non la fa il web. La fanno le persone, ci ricorda Jillian C. York, perché il web non è garanzia di partecipazione e azione: «I also think it’s a bit irresponsible of Western analysts to start pontificating on the relevance of social media to the Tunisian uprising without talking to Tunisians». Come twitta Alaa Abd El Fattah: «hey frigging american analysts how about we let tunisians, who actually lived what happened decide how relevant twitter and wikileaks where?». Eppure non possiamo negare che «non c’è tentativo di rivoluzione che non sia stato accompagnato da un significativo tasso di conversazione sulla rete e nello specifico su siti di social network come Facebook e Twitter». Sarà per questo che il governo egiziano nella notte tra il 27 e il 28 gennaio ha chiuso l’accesso a tutta Internet e sconnesso la telefonia cellulare, dopo aver oscurato e censurato martedì Twitter, e giovedì YouTube e Facebook, nel tentativo di rendere invisibile quel dissenso che al mondo stava diventando evidente e per evitare che la Rete potesse essere un modo significativo di auto-organizzazione.La rivoluzione non la fa il web. La fanno le persone, ci ricorda Jillian C. York, perché il web non è garanzia di partecipazione e azione: «I also think it’s a bit irresponsible of Western analysts to start pontificating on the relevance of social media to the Tunisian uprising without talking to Tunisians». Come twitta Alaa Abd El Fattah: «hey frigging american analysts how about we let tunisians, who actually lived what happened decide how relevant twitter and wikileaks where?». Eppure non possiamo negare che «non c’è tentativo di rivoluzione che non sia stato accompagnato da un significativo tasso di conversazione sulla rete e nello specifico su siti di social network come Facebook e Twitter». Sarà per questo che il governo egiziano nella notte tra il 27 e il 28 gennaio ha chiuso l’accesso a tutta Internet e sconnesso la telefonia cellulare, dopo aver oscurato e censurato martedì Twitter, e giovedì YouTube e Facebook, nel tentativo di rendere invisibile quel dissenso che al mondo stava diventando evidente e per evitare che la Rete potesse essere un modo significativo di auto-organizzazione.
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